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Aree di intervento
L’ANSIA è un’esperienza emotiva penosa ed invasiva e per alcune persone può diventare pervasiva e paralizzante, giungendo a limitare le relazioni affettive, sociali e la vita lavorativa. Si può manifestare con una diffusa sensazione di pericolo, paura, angoscia, la percezione di sentirsi sopraffatti, confusi e senza punti di riferimento, a cui si può aggiungere una sintomatologia fisica con alterazioni della frequenza cardiaca, percezione di dolore al petto che fa temere un infarto, sudorazione e difficoltà respiratorie, che rendono l’esperienza ancora più penosa.
E’ frequente anche la sensazione di avere la testa vuota, i tremori e i capogiri.
Tra i sintomi dell’ansia ci sono anche le parestesie in una o più zone del corpo, in particolare mani e braccia. La pelle è una delle parti più colpite rispetto al manifestarsi dei sintomi dell’ansia con eruzioni cutanee anche violente come l’orticaria e la pelle arrossata.
All’ansia si può associare una sintomatologia gastrointestinale.
La persona che soffre di attacchi di panico, di ansia, di fobia sociale, ha affrontato nella sua storia di vita situazioni nelle quali si è sentita impotente e sopraffatta dagli eventi.
L’ansia e gli attacchi di panico non sono una condanna a vita, è possibile affrontarli e uscirne chiedendo aiuto ad un professionista, per affrontare le problematiche emotive sottostanti che influenzano negativamente la vita.
Il conflitto è parte inevitabile di qualunque relazione umana, quindi anche dell’esperienza della vita di coppia. I problemi nascono quando il conflitto determina una situazione difficile da gestire, eccessivamente dolorosa e mette in evidenza la tendenza dell’uno a prevaricare sull’altro, ad agire l’aggressività attraverso modalità comunicative che fanno sperimentare all’altro vissuti di indegnità, umiliazione, colpa. In tutti questi casi siamo di fronte a relazioni disfunzionali, in quanto il conflitto non obbliga necessariamente a vivere questo tipo di emozioni. Certo la frustrazione, la rabbia sono emozioni comprensibili quando le cose non vanno come si desidererebbe, ma quando si sperimenta una profonda sofferenza e disagio e la relazione diventa sempre più faticosa, fino a iniziare percepire una certa confusione circa i propri stati d’animo, occorre fermarsi per poter riflettere su che cosa sta succedendo.
Qualsiasi relazione si poggi sul possesso e sul controllo comporta una perdita, un impoverimento, è ostacolo alla crescita, nella coppia mamma bambino, come nel rapporto di coppia in età adulta.
I sentimenti di tristezza sono normali sentimenti della vita e di solito sono passeggeri. Scaturiscono da eventi di perdita, insuccessi, delusioni, da difficoltà che si incontrano nel corso della vita. La depressione eè differente, costante, durevole e invalidante, può comportare perdita di ogni interesse per la vita e per le relazioni. La depressione ha livelli di gravità dal più lieve al più grave, con variabili significative legate all’organizzazione di personalità di ogni singola persona. La depressione distrugge la capacità di valutare realisticamente le proprie risorse affettive e relazionali, impedisce di percepire i propri bisogni e conduce progressivamente al rifiuto delle relazioni sociali fino all’isolamento.
Nella depressione si esperiscono sensi di colpa, rabbia, svalutazione, perdita di vitalità specialmente al mattino, con difficoltà ad alzarsi e iniziare le attività quotidiane.
Disturbi del sonno, disturbi dell’appetito, difficoltà a concentrarsi, ansia e angoscia fino a pensieri di morte, sono alcuni aspetti della sintomatologia depressiva.
La depressione è un disturbo che influenza la mente e il corpo, il comportamento, le funzioni cognitive, coinvolgendo anche il sistema immunitario.
Chiedere aiuto non è indice di debolezza, in realtà il momento in cui si diventa consapevoli di avere un disturbo emotivo e che non è possibile affrontarlo senza chiedere aiuto ad un professionista, è il primo passo per uscire dal tunnel nel quale ci si sentiva. Formulare una domanda di aiuto per superare il senso di fallimento per porsi in una prospettiva di cambiamento.
Le difficoltà relazionali riguardano tutti i rapporti in cui siamo immersi, rapporti di coppia, rapporti famigliari, amicali, rapporti nel mondo del lavoro. Stare in una relazione autentica presuppone la capacità di ascoltare empaticamente l’altro, intendendo l’ascolto come un’apertura all’altro che non conosciamo, la disponibilità ad accogliere qualcosa di non conosciuto, l’accettare di sostare in quello spazio terzo che non appartiene a nessuno dei due ma è ricco di opportunità e di risorse.
Alcune persone fanno fatica a costruire relazioni buone affidabili e preferiscono stare un passo indietro per la paura di un eccessivo coinvolgimento e di farsi male, sperimentando vissuti di solitudine, rifiuto, scarso valore e rabbia per l’isolamento.
A parte le più conosciute dipendenze da sostanze (stupefacenti, alcool, tabacco), esistono nuove dipendenze da comportamenti, o oggetti, legate ad attività permesse dalla società attuale, come il gioco d’azzardo, lo shopping compulsivo, l’uso di mezzi tecnologici come tv, cellulari, internet e social network e la dipendenza sessuale.
Nella dipendenza patologica il rapporto con la sostanza è caratterizzato da una compulsione tesa a soddisfare il desiderio impellente (craving) e a tamponare i sintomi di astinenza. Le nuove dipendenze e quelle più note da sostanza, hanno in comune il soddisfacimento compulsivo e irrefrenabile di impulsi, con la perdita di controllo sui comportamenti e sulle emozioni. La dipendenza patologica tende ad attenuare stati d’animo vissuti come negativi, spesso depressivi, ansiogeni, di vuoto, per regalare un momentaneo stato di benessere psicofisico, stato che ha sempre minor durata con il perdurare del comportamento dipendente.
Un elenco delle nuove dipendenze di cui mi occupo:
Shopping compulsivo – Dipendenza dall’attività fisica – Dipendenza dal lavoro – Dipendenza affettiva – Dipendenza sessuale – Dipendenza da gioco d’azzardo – Cyberdipendenza, dipendenza da internet
Le dipendenze portano alla compromissione delle relazioni interpersonali, dello status lavorativo ed economico, tutte le energie del soggetto, le attività quotidiane sono vincolate al pensiero ossessivo di soddisfacimento del bisogno. Le dipendenze hanno un più ampio significato del bisogno concreto del momento, sono legate a bisogni emotivi e relazionali, motivo per cui focalizzarsi sull’eradicare il comportamento dipendente non da risultati positivi.
Anoressia e Bulimia sono in costante aumento tra i giovani e compaiono in età sempre più precoce e si stanno diffondendo anche nel mondo maschile.
Allo sviluppo di un disturbo alimentare concorrono fattori sociali, famigliari e individuali.
Vivere in una società che propone come modello di successo un corpo magrissimo non è ininfluente, specialmente per una preadolescente o adolescente che si confronta fisiologicamente con un corpo che cambia.
Avere troppa Fame o non aver Fame, è questo il problema?
No, il cibo diventa strumento attraverso il quale manifestare un profondo disagio psicologico, una sofferenza che ad un certo punto deve trovare una via per manifestarsi.
Anoressia e Bulimia sono due vie apparentemente differenti ma espressione di un analoga sofferenza di base, tanto che spesso la persona manifesta un’oscillazione tra le due patologie.
Entrambe sono l’espressione attraverso il corpo di disagi emotivi che riguardano il modo di percepire sé in relazione con l’altro, il rapporto con il bisogno di amare ed essere amati, dove per essere amati intendiamo essere riconosciuti e stimati come individui autonomi e capaci dalle persone più significative.
L’anoressia nervosa, ovvero il disturbo maggiormente diffuso tra i DCA, è caratterizzata dal categorico rifiuto del cibo. Il soggetto passa da una alimentazione priva di alcuni alimenti, come i grassi o i cibi considerati troppo calorici, fino al rifiuto quasi totale o totale del cibo.
Chi soffre di anoressia, come conseguenza della deprivazione alimentare cui sottopone il corpo, soffre di scompensi metabolici e ormonali. Nelle donne compare l’amenorrea, assenza del ciclo mestruale. A tutto ciò si associa una seria difficoltà a percepire la propria magrezza, la persona continua a vedersi grassa e a voler perdere ulteriore peso, un’ alterata percezione del proprio corpo.
Depressione, ritiro sociale e calo dell’autostima sono i sintomi che si accompagnano al rifiuto del cibo.
La Bulimia è caratterizzata dall’ingestione di grandi quantità di cibo, con la predilezione per cibi grassi o ricchi di zuccheri. Dopo le abbuffate si sperimentano profonde emozioni di vergogna, senso di colpa, rabbia e autosvalutazione per la perdita di controllo.
Le abbuffate avvengono in solitudine, con perdita di controllo di sé, in uno stato di disorientamento, estraniamento, una specie di stato di trance.
Le abbuffate possono essere seguite da condotte di eliminazione, induzione del vomito, lassativi, diuretici ed esercizio fisico compulsivo, riuscendo così a controllare il peso.
Alla bulimia si associa una sintomatologia fisica, legata non solo all’eccesso di cibo introdotto ma anche condotte di eliminazione messe in atto, problemi gastrici, disidratazione, erosione dello smalto dentale, escoriazione delle dita proprio perché le mani sono spesso usate per indurre il vomito, ulcere in bocca, fino disfunzioni cardiache legate alla perdita di elettroliti.
Entrambi i disturbi sono legati a problematiche di controllo, avere o perdere il controllo, spesso in un oscillazione tra le due polarità.
Negli ultimi tempi si sono sviluppate altre patologie legate al rapporto con il cibo e con il corpo, come il Binge Eating Disorder, disturbo da alimentazione incontrollata e la Vigoressia, il bisogno ossessivo di modificare il proprio corpo attraverso l’esercizio fisico e controllare.
E’ importante chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta nelle fasi iniziali della patologia.
Le diete e gli schemi alimentari da soli non servono è necessario andare ad esplorare le dinamiche emotive sottostanti al corpo che presentano.
La paura di non avere valore per gli altri e di poter essere considerati in modo negativo, è fonte di sofferenza e impedisce di aprirsi e sperimentarsi nelle relazioni affettive, amicali, lavorative.
Le persone si valutano, si giudicano, all’interno del mondo relazionale nel quale vivono e si sperimentano.
Il deficit dell’autostima nasce dal confronto tra il Sé percepito e il Sé ideale. Il primo si riferisce al sentimento di sé percepito e legato alle esperienze relazionali della propria storia personale, alla capacità di rispecchiamento e di sintonizzazione delle figure di accadimento incontrate. Il secondo corrisponde a come dovremmo o vorremmo essere ed è influenzato dalla cultura e dalla società. Questo confronto può portare a percepire un sentimento di inadeguatezza tanto profondo da essere paralizzante e invalidare il raggiungimento di obiettivi personali, lavorativi affettivi.
Una scarsa autostima può spingere a dimenticare i propri bisogni per soddisfare in modo unilaterale quelli altrui, nella speranza di ottenere un riconoscimento.
Un trauma è un evento improvviso che altera il normale corso della vita e modifica il modo di percepirsi della persona.
Può trattarsi di una calamità naturale, un incidente, o l’aver subito abusi fisici o sessuali, situazioni nelle quali la persona ha riportato lesioni fisiche o ha temuto per la propria vita.
Sono eventi che possono collocarsi nel presente o nel passato della storia di vita, ma che hanno in comune aver posto l’individuo nella condizione di percepire di non avere risorse per affrontare l’esperienza, di essere sopraffatto dall’impotenza e di non riuscire ad elaborarlo, a dargli un significato, a categorizzarlo.
Subire un trauma porta ad un cambiamento nei comportamenti, nell’umore e nelle relazioni con gli altri, il sentimento di essere stati danneggiati in modo irreparabile è presente anche se non vi sono state conseguenze fisiche rilevanti.
Non sempre vi è una reazione post traumatica, ogni soggetto reagisce in modi differenti alle aggressioni, a seconda della particolarità dell’evento e della sua struttura di personalità, oltre alla qualità dell’evento si devono considerare i fattori soggettivi, la capacità dell’individuo di resistere agli effetti traumatici, ovvero la resilienza.
Il termine Trauma oggi ha un significato più inclusivo rispetto al passato e si riferisce anche ai traumi relazionali, ai traumi del’attaccamento, all’essere stati esposti a modalità di accudimento inadeguate, discontinue, in un rapporto di attaccamento ansioso-resistente o disorganizzato.
Le esperienze di perdita possono riguardare la morte di una persona cara, una separazione, un divorzio, la perdita di un amicizia, la perdita della funzionalità di una parte del corpo in seguito ad un incidente o a una malattia.
Sono esperienze estremamente dolorose nelle quali si sperimentano vissuti di impotenza, il senso di vuoto, la tristezza, la rabbia, l’odio, l’impossibilità di comprendere il senso di quanto accaduto.
Un percorso di psicoterapia può rappresentare la possibilità di affrontare questi eventi e integrarli nel continuum della propria vita, attraverso il mettere in parola, l’ascolto e l’elaborazione di tutti i vissuti emotivi, anche quelli più difficili da affrontare, per cercare un nuovo equilibro e riattivare le risorse personali.
Ci sono importanti fattori culturali che si intrecciano con importanti fattori psicologici, con la storia di vita della donna a partire dalla relazione con gli oggetti primari, ovvero con le figure genitoriali.
E’ la relazione tra il prendersi cura e il senso di colpa a giocare un ruolo fondamentale. Il partner è un altro soggetto affidato alla cura della donna, lei si sente responsabile del suo malessere o del suo benessere, quindi in questa dinamica relazionale la violenza è percepita come malessere di lui.
Secondo l’OMS “La violenza di genere è in tutto il mondo il più grande problema di salute pubblica e di diritti umani violati.”La violenza di genere può avere conseguenze anche molto gravi sulla salute della donna. Spesso la violenza agita contro le donne è una combinazione di diversi tipi di violenze; un esempio è rappresentato dalla violenza domestica dove intervengono generalmente violenza fisica, psicologica, sessuale, economica e a volte spirituale.
Studi recenti mostrano come le donne che subiscono violenza per mano di persone a loro molto vicine sono tra un quarto e un terzo della popolazione femminile totale.
La violenza sulle donne è trasversale, ne sono vittima donne che appartengono a gruppi etnici diversi, di diversa estrazione sociale, culturale ed economica.
La donna che ha subito violenza si trova in un costante stato di oscillazione tra ritiro e attaccamento ansioso,
Dopo il trauma lei guarda sempre al suo comportamento con sentimenti di colpa e di vergogna.
Questo spiega il silenzio sulla violenza patita anche a distanza di tempo.
Può passare molto tempo prima che una donna chieda aiuto, ciascuna ha i suoi tempi, tempi che vanno capiti, rispettati, ciascuna persona è differente dall’altra.
Rivolgersi ad uno psicologo è un passaggio importante, non si è fragili quando si chiede aiuto, anzi riconoscere di essere in difficoltà è una risorsa, un punto di forza.
